Talia si svegliò con un fremito. Brandelli di sogni le ondeggiarono attorno agli occhi come uccelli in fuga, ma non riuscì ad afferrarne neanche uno. Si girò su un fianco.
Sentiva freddo. Le mordeva la carne con dentini acuminati e la fece rabbrividire.
Alla tenue luce lunare, Arodias sembrava una statua, chino com’era a guardare nel buio. Si mosse piano, volgendo la testa quando la sentì muoversi.
“Vuoi tornare a dormire ancora un poco? Non è ancora l’ora di darmi il cambio.”
“No,” rispose alzandosi la maschera e massaggiandosi le palpebre incrostate. L’aria era fredda e umida e immobile e le premeva tanto sulla pelle da sembrare una coperta bagnata. Si strinse nella coperta di lana e scese dal carro, sedendosi accanto a lui.
Le uscì un altro sbadiglio che non riuscì a trattenere, ma scosse la testa, anticipando la sua domanda.
“Va bene così. Ho solo bisogno di abituarmi. Le notti sono così fredde qui… è normale?”
“Siamo lontani dalla costa.”
“Questo lo so.” Iniziò a strusciarsi i palmi, cercando di trarvi un po’ di tepore. “Ma è un freddo che mi scava nelle ossa e non l’ho mai sentito prima. Mai così vicino.”
“Talia.” Arodias le mise la mano sulla spalla. “Torna a dormire.”
“Non dicevi che sono una bimba grande ora?” Piegò la testa, rivolgendogli un sorriso sghembo. “Saprò cavarmela benissimo, non è niente di grave. E poi tu non hai bisogno di dormire? Sono passati i tempi in cui potevo assopirmi sulle tue ginocchia, no?” Gli diede un affettuoso buffetto sulla spalla e fu lui a sorridere questa volta.
“Suppongo quei tempi siano passati, sì.” Si alzò, passandosi le dita sul viso. “Fati, che stanchezza. Mi prende ora tutta d’un colpo, e senza avvertire.”
“Ti sveglio all’alba.”
“Sì. Così poi potrai prendere un altro po’ di sonno. Buona veglia.”
“Buona notte, Arodias.”
Lo guardò stendersi sulla panca del carro, tirandosi il cappello sugli occhi. Incrociò le mani sul petto e presto il suo respiro si fece più pacato e regolare.
Talia rimase a osservarlo per un po’.
Era strano rivolgersi a lui sempre con il suo nome.
L’ultima volta che aveva sentito l’impulso di chiamarlo papà era stato quando aveva visto un ragazzino che teneva per mano suo padre, al mercato di Trefiumi. Tredici giorni or sono, prima che si lasciassero davvero addietro ogni strada, inoltrandosi nella terra di nessuno che li separava dalla Selvagrama.
Era stato un momento fragile come il ghiaccio nero di fine autunno, svanito non appena aveva chiuso le labbra, reagendo all’impulso ricacciandolo nello stomaco, dove se n’era stato a mordere e a scalciare ancora per qualche minuto.
Anche ora sarebbe stato così facile aprire la bocca e sussurrarlo.
Dormiva.
Ma Talia non si distrasse. Si strinse forte nella coperta e si tirò di nuovo sul viso la maschera di legno. Se fosse stata una notte di veglia come le altre, quando ancora potevano accamparsi a un incrocio, confidando che gli Invisi sarebbero rimasti confusi dal nodo di vie e non li avrebbero trovati, o potevano sfruttare il numero e le difese del mondo degli uomini.
Sotto la luna, ogni cespuglio e albero luccicava grigio. Talia riusciva a distinguere le forme, ma non i colori.
Che cosa avrebbe dovuto aspettarsi, comunque? Qualche forma distorta e artigliata che l’avrebbe trascinata con sé nell’oscurità? Non aveva mai incontrato un Inviso. Li aveva visti rappresentati negli affreschi, mosaici e arazzi di Zug: gente alta e dinoccolata, dai visi pallidi e severi. Molti mostravano zanne e corna, ma Arodias le aveva assicurato che non avevano quell’aspetto. E si trattava solo delle conseguenze dell’ultima guerra.
Difficile crederci in una notte fredda come quella. Tra le ombre dei cespugli che sussurravano sotto le dita del vento.
Sapeva che avrebbero cercato di farla alzare. L’avrebbero chiamata con voci melliflue, mormorando il suo nome. Ma lei, come sempre, si sarebbe tirata le mani sulle orecchie e avrebbe fatto finta di non sentire.
Finta di non vedere.
Con l’arrivo del sole, le cose sarebbero tornate alla normalità e avrebbe potuto fare finta che fosse una giornata come le altre. Anche così vicino alla Selvagrama.
Faceva troppo silenzio. Non ci era abituata.
Perché non sentiva già i primi mormorii, le voci che le volteggiavano attorno come fantasmi, tirandola da una parte e dall’altra? Non era normale.
Deglutì. La calma avrebbe dovuto rilassarla, ma non faceva altro che ricordarle dove si trovava e quanto a fondo nell’isola avessero camminato.
Era protetta dal cerchio che aveva tracciato Arodias. Aveva le sue campanelle, i suoi sali e soprattutto aveva lui. Sarebbe bastato svegliarlo per farlo accorrere.
Sono al sicuro, si ripeté. Sono al sicuro.
Tornò a guardare davanti a sé, per i campi grigi, verso il magro ruscello.
Sono al sicu-
A una ventina di passi stava il cavallo di prima. Sulla sua schiena, le braccia unite in preghiera, si trovava lo scheletro, le vesti stracciate che ondeggiavano al vento.
Lei strinse le dita così forte contro i palmi che le sentì premere contro le ossa delle mani.
Talia.
“No,” mormorò, scuotendo la testa. “No, no, no. Lasciami stare, lasciami in pace.”
Non avrei voluto ricorrere a queste misure.
La voce era la stessa delle altre volte. Una voce di donna, dall’eco metallico come se stesse parlando dal fondo di un pozzo. La stessa che le si rivolgeva quasi ogni notte.
Ma ho desiderato prendere la vostra visita come un invito. Per favore, raggiungimi qui al ruscello. Voglio solo parlarti.
Talia ansimava, ogni respiro a grattarle contro il petto. Lo scheletro era immobile, un segnale per il momento. Una minaccia, se avesse atteso.
Non voglio metterti fretta. La notte, tuttavia, è breve.
Lei si alzò, ma fece il primo passo verso Arodias.
Se credi possa aiutarti ti illudi. In questa come in molte altre faccende.
Talia si bloccò. Non doveva ascoltare la voce. E poi c’era solo un cavaliere ritto dietro di lei. Arodias avrebbe saputo cosa fare.
E non mentire a te stessa. Credi che sia l’unico paio d’occhi che ti osserva, questa sera? Vuoi avere modo di scoprirlo?
Per la prima volta, una nota di disappunto si insinuò nella voce come una goccia d’inchiostro nell’acqua.
Talia strinse i denti.
No.
Si girò, esitando prima di traversare il cerchio.
“Prometti che vuoi solo parlare? Tornerò sana e salva e senza che Arodias sappia nulla.”
Voglio solo parlare. Nessuno ti torcerà neanche un capello, lo giuro sulla mia autorità.
Di che autorità stava parlando?
Ah, ma c’erano cose più importanti di cui preoccuparsi.
“E che tornerò entro un’ora. Che niente cambierà questa mia decisione, non importa cosa possa dire o possa essere portata a dire. Giura sul sale e sul ferro.”
Le vostre formule sono scritte nel vento e nell’acqua. Ma sia. Lo giuro.
Talia mise un piede fuori dal cerchio. Sentì un brivido, ma forse era solo la sua immaginazione.
Molto brava, disse la voce. Avvicinati.
Perché lei non poteva. Poteva solo guatare da lontano, e Talia ricordava un lucore d’argento che faceva capolino tra gli alberi. E ora la stava raggiungendo.
Oh, il cuore le batteva così forte.
Il ruscello scorreva come un nastro bianco, catturando la luce notturna. Qualcosa attendeva tra due alti alberi davanti a lei. Uno era illuminato dalla luna e riluceva bianco, l’altro scuro come carbone. In mezzo, Talia vide l’erba crepitare e avvizzire.
Le ombre si contorsero e da in mezzo alle fronde comparve un’alta e magra figura, coperta da capo a piedi in un manto grigio lucido come metallo.
Forse lo era. A quattro passi di distanza, Talia si fermò. L’erba perdeva colore, tramutandosi in fragile polvere bianca. Anche la corteccia degli alberi prese a crepitare come avvolta da una fiamma invisibile. Le foglie estive si staccarono e iniziarono a cadere una ad una.
Talia, disse la voce di donna da una maschera d’argento, le orbite e la bocca tanto scure che le parve di potervi cadere dentro. Da sotto il manto comparve una mano chiusa in un guanto d’armatura, che sorse fino a posarsi contro la guancia metallica. Da quanto tempo desideravo vederti faccia a faccia.
Note dell’Autore: Chi tra di voi sta leggendo Patina potrebbe notare una certa somiglianza nella scelta dei dialoghi tra questa voce e la Regina di Spine. Chissà che significa. Grazie della lettura.
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